Vent’anni fa ci ha lasciato, dopo una lunga malattia, una delle icone del moda e del cinema più importanti e influenti di sempre: Audrey Hepburn. Molto più di una diva e di una star. Un esempio unico di charme irripetibile, un modello di raffinatezza che resterà inimitabile per sempre. Chi di noi non ha mai sognato di possedere la sua naturale, aristocratica ed iconica eleganza, mai altera, bensì così semplice e naturale? Audrey Hepburn era la perfezione fatta donna.
Riuscì a diventare una diva famosissima, con al suo attivo autentici cult come “Vacanze romane”, “Colazione da Tiffany”, “My Fair Lady” e “Sabrina”, senza mai cedere al ricatto hollywoodiano di mostrarsi in pose più sensuali e da pin up come le altre sue famosissime colleghe o essere protagonista di scandali costruiti ad arte da press agent senza scrupoli pur di far parlare i giornali. Sempre vestita con grazia e composta eleganza, a differenza delle sue colleghe americane che adoravano gareggiare in scollature e trasparenze, era la musa dei più grandi designer dell’epoca. In particolare, ricordiamo l’intesa artistica con Hubert de Givenchy che diede vita a uno dei sodalizi tra diva e designer più fruttuosi che siano mai esistiti nella storia della moda e del cinema.
Audrey Hepburn era considerata la musa dello stilista francese Givenchy a cui fu legata, per tutta la vita da un forte sentimento di amicizia, tanto che la Hepburn si riferiva allo stilista come il “suo più grande amico“, mentre Givenchy parlava di lei come di una “sorella“. I due si erano conosciuti in occasione della collaborazione fornita dallo stilista per il film “Sabrina” del 1954. A Givenchy, il regista Billy Wilder si era rivolto proprio dietro suggerimento dell’attrice per la realizzazione degli abiti di scena per la pellicola. Lo stilista francese propose alla Hepburn di scegliere alcuni abiti dalla sua collezione e da quel momento ebbe inizio una collaborazione decennale che avrebbe visto Givenchy firmare la maggior parte dei modelli indossati dalla Hepburn nei suoi film e dedicarle persino il suo più celebre profumo “L’interdit”. Nel 1961, il tubino nero disegnato da Givenchy divenne il protagonista della famosa scena di apertura della commedia romantica di Blake Edwards, “Colazione da Tiffany”. Bastò quella scena per consacrare la creazione di Givenchy, il litte black dress, come uno degli abiti che hanno fatto la storia della moda e che tutt’oggi è considerato uno dei grandi must del guardaroba di ogni donna.
Gracile bellezza dal fisico etereo, merito per molti dei tanti anni dedicati al balletto classico, in realtà la diva dallo sguardo da cerbiatto e dal sorriso disarmante, nacque a Bruxelles da un uomo d’affari irlandese e baronessa olandese. Il suo nome vero era Edda van Heemstra Hepburn-Ruston e visse la sua infanzia da aristocratica ragazzina anglo-olandese sempre in giro per l’Europa a causa della professione del padre finché la famiglia si trasferì in Inghilterra dove Audrey studiò danza presso la Rambert School. Purtroppo il padre divenne un simpatizzante del nazismo, motivo, questo del divorzio dalla madre. Arrivò, quindi, il tempo della seconda guerra mondiale: Audrey continuò a ballare nei circoli anti-nazisti, ma non fu il balletto, ma la grave malnutrizione di quegli anni a rendere il suo fisico così gracile ed esile, causandole gravi problemi di salute per il resto della sua vita. Impossibilitata così a continuare a ballare, si dedicò alla recitazione finché fu notata dal regista statunitense William Wyler che la volle come protagonista, al posto di Elizabeth Taylor, del film “Vacanze romane”, che rappresemtà la vera grande svolta nella sua luminosa carriera di attrice in cui vinse un Oscar, tre Golden Globe, un Emmy Award, un Grammy Award, quattro BAFTA, due Tony Awards e tre David di Donatello.
Le capitò un’altra volta la grande fortuna di essere la seconda scelta in un ruolo: per “Colazione da Tiffany” fu guerra tra la produzione e Truman Capote, autore del romanzo da cui era tratto il film, che aveva creato il personaggio di Holly Golightly pensando a Marilyn Monroe, ma alla fine, come ben sappiamo, Blake Edward preferì il fascino europeo di “una diva che non volle mai essere diva“, come l’avevano definita i critici americani. Sposatasi due volte (con l’attore americano Mel Ferrer e con lo psichiatra italiano Andrea Dotti, da cui ebbe due figli, uno per ogni matrimonio) da cui divorziò peri continui tradimenti subiti, spese gli ultimi anni della sua vita sempre in assoluta semplicità, dedicandosi al suo impegno sul campo di ambasciatrice dell’Unicef dei bambini sottonutriti africani nei cui occhi rivedeva un po’ di sé. Icona di grazia, stile e grande attrice: nessuna sarò mai come lei e a distanza di vent’anni dalla sua scomparsa non esiste diva che possa essere lontanamente paragonata a lei.
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